Citta’ Liquide
RIFLESSIONE SULLE CITTA’ LIQUIDE
Enzo Costa
(2009)
“Chissà se in qualche capitolo negletto dell’opera omnia di Bauman si affronta anche il fenomeno della recensione liquida. Recensione, forse, è parola eccessiva (per non dire solida): meglio opinione, impressione, sensazione, vibrazione. All’interrogativo non so rispondere (come è ovvio, altrimenti non me lo sarei posto), giacché non conosco l’opera omnia di Bauman. E neppure una parte rilevante, dell’opera. Ne conosco la vulgata (googlata) mediatica, che – in quanto tale – è ontologicamente approssimativa, a-sistematica, indefinita: liquida? Magari davvero fra i sostanziosi concetti dell’illustre sociologo, resi fluidi e leggeri dal loro essere portati al popolo dalla massa dei mass-media, figura quello (debitamente liquefatto in questa mia ipotesi) di un’osservazione emotiva e soggettivamente destrutturata dell’opera d’arte. Vibrazione liquida, dicevo. Come spiegare, quindi, ciò che scaturisce in me, semplice passante, osservante la Città Liquida di Virginia Monteverde? Staziono con gli occhi kubrickianamente aperti-chiusi davanti a quelle colate di luoghi, a quel disfarsi di monumenti, a quell’acquoso precipitare di palazzi e, inesorabilmente, mi sciolgo: non solo nel senso di una commozione intensa e profonda. Ma anche e soprattutto nel senso di un’inaspettata identificazione: in quegli smarrimenti di forme, (s)travolgenti e però avvolgenti, io mi vedo. Sento il perdere solidità delle mie certezze, ed il precario galleggiare dei punti fermi. Lo sfaldarsi a cascata delle cose mi dice del frantumarsi scivoloso del mio essere. Una liquefazione che – non solo per coerenza semantica – non può unicamente atterrirmi: in fondo (all’abisso) avverto che oramai la mia identità è proprio quello sciogliersi dell’identità, che la diluizione del mio io non è esattamente alienazione. E il naufragar mi è dolce in questo liquido.
LE CITTA’ SONO LIQUIDE COME LA NOSTRA SOCIETA’
Michela Bompani
(2008)
«Le città sono liquide, come la nostra società»: è cominciata lì dove terminano le teoriedel sociologo inglese Zygmunt Bauman,la ricerca artistica di Virginia Monteverde. Scioglie l’immagine urbana, con una tecnicadigitale che sfocia in realizzazioni puramente pittoriche. Il suo lavoro potrebbe apparire come un mero procedimento tecnologico, invece utilizza il lessico e la destinazione della pittura-pittura. L’inizio di ogni opera è in una fotografia digitale: “vedute-cliché” di piazze, monumenti da cartolina, oppure di opere d’arte “logorate” dalla diffusione della loro stessa immagine. Comincia volontariamente dalla “banalità” degli scatti fotografici, la sfida di Monteverde alla destrutturazione. E passa attraverso un software. Con il “pennello digitale”, pixel dopo pixel, Monteverde tratta la superficie con un lavoro minuzioso, senza modificare i colori originali. Il risultato è una scomposizione che semplicemente scarnifica l’esistente. E rivelauna nuova struttura (forse quella originale e invisibile agli occhi). Il colore, per effetto della scomposizione, si attenua e si fa omogeneo, trasformandosi in una modulazione luminosa continua: scandisce i piani-struttura, che segmentano la forma e ne ricostruiscono una nuova. Sopravvivono miracolosamente le figurette degli abitanti di questo “mondo-società” sciolto: sono macchie di colore, che stridono, come se non riuscissero a mimetizzarsi, accampate su uno sfondo spiazzante. Se, come dice Bauman, la società postmoderna è liquida (a differenza di quella moderna, che era solida), Monteverde intravede un’altra struttura possibile.
CITTA’ LIQUIDA: LA CATTEDRALE DI NOTO
Annina Orsini
(2012)
L’opera “Citta’ liquida –La Cattedrale di Noto” descrive l’apparente realtà della cattedrale di Noto, realtà modificata dallo scioglimento sulla tela dei parametri dimensionali: la facciata della basilica tardo barocca si liquefa prospettando una visione coerente alla storia dell’edificio stesso, distrutto e ricostruito alla fine del Seicento e alla fine del nocevento, da due terremoti. Una decostruzione che comprende un’ulteriore lettura filologica del contesto culturale e artistico del Barocco, per cui l’aspetto illusionistico, metaforico e eccentrico della visione impone punti di vista nuovi e non convenzionali.
La decostruzione-destrutturazione è tuttavia legata a una sua ricostruzione-ristrutturazione: il pubblico è chiamato a ripercorrere il processo avviato dall’artista per comprenderne i significati culturali, dunque riportando mentalmente allo stadio solido l’opera liquida.
NEL PIXEL DELLA PROSPETTIVA LIQUIDA
Viana Conti
(2013)
Virginia Monteverde sceglie il linguaggio digitale e video come mezzo per veicolare il messaggio artistico, di vario ordine, assumendo come riferimento l’istantaneità comunicativa della rete telematica. Consapevole del fatto di vivere, come afferma Paul Virilio, in una comunità più telecratica che democratica, maggiormente fondata sul rapporto a distanza che interpersonale, l’artista sottoscrive la visione di società liquida del sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman per cui, in una condizione postmoderna di consumismo frenetico, l’ansia della precarietà dei valori materiali e immateriali, provocherebbe un collasso dei punti cardini dell’esistenza, con una conseguente fragilità dell’individuo nel rapporto con se stesso e nel contesto sociale. La condizione di incontenibile fluidità e mobilità di ogni punto fermo viene assunta dall’artista come metafora estetica della sua visione del mondo, una visione quindi che sottopone lo scenario del reale ad una sorta di anamorfosi virtuale irreversibile, deprivata quindi, di ogni prospettiva di ritorno all’immagine originaria. La resa percettiva delle sue città liquide, permeate di colori naturali, consegue l’esito di un effetto monocromo.
Momento fondante del suo lavoro è la pittura, la cui dimensione figurale sconfina in un sommovimento interno che approda all’esito di un’astrazione, composta da linee ondulatorie e da onde cromatiche. Manipolando l’immagine con il computer, Virginia privilegia digitalmente l’effetto pittorico, al punto da prendere intenzionalmente le distanze da un risultato ottimale di uniformità della superficie, per esasperare i contrasti e la sgranatura dei pixel. Un atteggiamento questo motivato dall’ascendenza intensamente espressionista dell’autrice, nata, da famiglia italiana, nella città di Tübingen, in Germania, patria culturale dell’Espressionismo. Nel suo specchio deformante a essere testata costantemente è la precarietà e l’impermanenza del dato reale.
Mentre nei lavori precedenti, come la Passeggiata nella città liquida il dinamismo sismico-tellurico, sotteso alle sue immagini, non si propaga su tutto il campo, ma conserva alcuni punti di stabilità nello scenario generale, che rendono parzialmente riconoscibile il contesto, nei lavori attuali, come appunto nell’opera esclusiva Portofino, ideata per una parete ambientale, e ispirata all’incantevole villaggio ligure, la struttura del paesaggio si scioglie completamente. Gli intonaci colorati delle case ligustiche, le persiane verdi, lo stesso specchio del mare, sovrapponendosi, tecnicamente, con lievi spostamenti dell’asse dell’immagine, giocando sulle trasparenze come nella tecnica pittorica tradizionale della velatura, si fondono, confondono, in una sequenza di onde policrome, si inseguono in un caleidoscopio cangiante di pieghe morbide e sinuose come seta, creando un prezioso e seducente effetto moiré, rinviante ai riflessi del sole sull’acqua.